Login Contatti | RIVISTA SEMESTRALE - ISSN 2421-0730 - ANNO IX - NUMERO 2 - DICEMBRE 2023

Tra Costituzione, diritto e politica a cura di Luigi Mariano Guzzo

In Forum
1 Agosto 2017

Lo scorso 4 dicembre 2016 gli italiani si sono pronunciati sulla legge costituzionale Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del titolo V della parte II della Costituzione”, il cui testo è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 88 del 15 aprile 2016. Di natura oppositiva ai sensi dell’art. 138 della Costituzione, il referendum ha assunto, invece, a tratti, le caratteristiche di un plebiscito nei confronti dell’operato del governo in carica; ciò anche per la strumentalizzazione che di esso ne hanno fatto i rappresentanti politici. L’elemento inequivocabile è il risultato delle urne: circa il 60percento dei votanti (l’affluenza si è attestata intorno al 65percento degli aventi diritto) ha respinto la revisione costituzionale proposta dal premier Matteo Renzi e dal ministro per le riforme costituzionali Maria Elena Boschi. D’altro canto, non può negarsi che tale tentativo di revisione della Carta fondamentale italiana abbia rappresentato, per il nostro paese, l’instaurarsi di una diffusa stagione di interesse e di discussione sui principi e sui valori della Costituzione repubblicana, segnata da numerose occasioni di dibattito e di confronto pubbliche. Tant’è che neanche quel “No” della maggioranza degli italiani sembra oggi bastare a porre definitivamente nel cassetto, le numerose questioni teoriche e giuridiche sollevate nel corso della “campagna” referendaria. Ed anzi, è proprio in questo momento, a “mente fredda”, che le stesse meritano più profonde e opportune riflessioni.

Non fosse altro che, ora, ancora urgente più che mai nell’agenda delle istituzioni politiche, si percepisce il tema della rappresentatività popolare, con una legge elettorale, la numero 52 del 2015 (chiamata giornalisticamente “Italicum”), che assegna un premio di maggioranza “abnorme”, come l’ha definito Zagrebelsky, alla lista che abbia ottenuto almeno il 40percento dei consensi. Per altro verso, abdicano alla loro funzione i rappresentanti del Parlamento quando inermi attendono e, addirittura, con fermezza chiedono la pronuncia della Corte Costituzionale sulla legge elettorale in questione, affinché sia la stessa Corte ad introdurre i correttivi necessari al provvedimento normativo, in mancanza di una convergenza delle forze politiche.

In questo clima è indubbio che per l’Italia si prospetta uno scenario di forte fermento istituzionale. Così la rivista Ordines ha pensato di promuovere, tra le sue pagine, una tavola rotonda “virtuale” con illustri docenti, per mettere al centro della discussione i temi della strutturazione e del funzionamento degli apparati istituzionali, che hanno caratterizzato questi mesi.

  1. Si è parlato molto di bicameralismo paritario e di bicameralismo imperfetto. Il bicameralismo paritario previsto dall’art. 70 della Costituzione del 1948 (“La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere”), sarebbe stato del tutto stravolto dall’art. 70 proposto dal progetto di revisione costituzionale “Renzi-Boschi”. Il superamento del bicameralismo paritario è giustificato, per lo più, da ragioni di celerità del procedimento legislativo. D’altronde addurre motivazioni per le quali le democrazie europee sono, per la maggior parte, strutturate in sistemi monocamerali o bicamerali imperfetti, porta inevitabilmente il discorso a cadere in una fallacia descrittivistica. Il nodo centrale della questione rimane il seguente: una democrazia può funzionare pienamente anche attraverso un Parlamento composto da due Camere con uguali competenze?
  1. In democrazia ci sono due importanti valori che possono entrare spesso in conflitto, o almeno così sembra: la rappresentatività e la governabilità. L’ultimo tentativo di revisione costituzionale, se letto insieme alla legge elettorale “Italicum”, appariva sacrificare sull’altare della governabilità il valore della rappresentatività. Governi forti esigono maggioranze forti in Parlamento, non facili da ottenere nella complessità della società civile, se non attraverso correttivi, come i cosiddetti “premi” di maggioranza. Per di più, oggi, la tecnocrazia dell’Unione Europea e l’oligarchia del mondo delle finanze hanno poco interesse per la rappresentatività democratica e chiedono agli Stati nazionali prima di tutto governi stabili. Ma per assicurare la governabilità è sempre necessario sacrificare la rappresentatività?
  1. Nel progetto di revisione costituzionale “Renzi-Boschi” lo stato di guerra (art. 78 Cost.) è deliberato, a maggioranza assoluta, solo dalla Camera dei deputati, invece che dal Parlamento in seduta comune. Si è discusso poco in questi mesi del punto in questione, in quanto l’istituto previsto dall’art. 78 Cost. non è mai stato utilizzato in circa settant’anni di vita repubblicana e la discussione ai più appare rilevante solo da un punto di vista teorico. In realtà, ad una più attenta analisi, soprattutto nel clima di paura e di sconforto che gli attentati terroristici hanno gettato sull’Europa occidentale e nel quadro di instabilità politica del Medioriente, la dichiarazione di “stato di guerra” può essere uno strumento nelle mani di un governo che voglia all’interno di uno “stato d’eccezione”; tutto ciò sarebbe stato reso più semplice dalla previsione della deliberazione di una sola Camera a maggioranza assoluta, per un governo con una forte maggioranza in Parlamento, determinata peraltro dal testo vigente della legge elettorale n. 52 del 2015. Abbiamo assistito, ancora una volta, al tentativo di rafforzare l’Esecutivo?
  1. Quello dei costi della politica rappresenta un tema-chiave nel dibattito pubblico degli ultimi anni, soprattutto in tempi di crisi economica. A parte l’evidente sperequazione tra i costi della politica e quelli della società civile, il problema è che determinate scelte normative sono spesso giustificate da ragioni economiche. Un diverso motivo per il quale si prospettava un’atipica abolizione del Senato a favore di un “nuovo” Senato quale Camera delle autonomie territoriali, con una riduzione del numero dei parlamentari, era quello di “abbattere” i costi della politica. Ciò presuppone almeno tre modi di intendere il rapporto tra diritto ed economia, e cioè: guardare ai diritti come ad una questione in larga misura economica, ovvero riproporre la dialettica marxista che guarda all’economia quale struttura della realtà sociale di cui lo stesso diritto sarebbe sovrastruttura, o ancora trovare la giustificazione ultima dei diritti nell’economia. D’altra parte se è vero che i diritti hanno comunque necessità di un tessuto economico che assicuri loro il funzionamento, che rapporto, oltre a questo, può instaurarsi tra diritto ed economia?
  1. Un altro tema di questa campagna referendaria è stato quello della “scrittura” del testo costituzionale. Per molti commentatori il testo di riforma era un buon testo nei contenuti, nonostante nella forma andasse scritto meglio. La questione si presenta quale problema di tecnica della normazione giuridica. Se la forma è sostanza, l’eleganza e la chiarezza, nonché la congruenza logica delle diverse disposizioni normative in un unico testo legislativo, non sono ancora valori che il legislatore, e specialmente il legislatore costituzionale, deve perseguire nella sua attività?
  1. Il referendum sull’uscita del Regno Unito dal processo di integrazione europea, l’elezione di Trump negli Stati Uniti d’America, la forte instabilità politica mediorientale, il terrorismo fondamentalista di matrice islamica, i costanti flussi migratori… il 2017 si apre con poche certezze e tante incognite e variabili. L’Italia che ruolo può oggi occupare sulla scena europea e mondiale?

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