Login Contatti | RIVISTA SEMESTRALE - ISSN 2421-0730 - ANNO IX - NUMERO 2 - DICEMBRE 2023

Editoriale di Massimo La Torre

In Editoriale
12 Febbraio 2015

L’università italiana non attraversa, ahinoi, il suo momento migliore. Destrutturata da un ventennio di leggi, leggine e “riforme” varie, ha ricevuto un colpo “basso” dall’ultima riforma Gelmini, la quale ne ha sconvolto l’assetto (basti pensare alla eliminazione delle Facoltà) e ha ristretto il suo organigramma in maniera da rendere più che ardua una carriera universitaria ai giovani (abolendo il ruolo del ricercatore a tempo indefinito), introducendovi altresì una marcata logica aziendalistica (vedi il significativo svuotamento di competenze del senato accademico a favore di un “consiglio di amministrazione”).

A ciò si aggiunga una valanga di regole e regolamentazioni, alcune delle quali irragionevoli. In questo quadro, cui ci ha condotto lo Zeitgeist, ma anche una irresponsable, troppo allegra Weltanschauung accademica degli anni passati (ricordiamo i non troppo lontani “concorsi comunali” per ordinari ed associati e la pletora di “poli distaccati” nelle sedi più assurde ed improbabili), e dopo l’uscita di scena di una generazione di docenti che dall’università ha ricevuto tutto e più di tutto, chi resta si ritrova con le tasche e le casse vuote ed ancora, ciò che più fa male, un vuoto di ideali e prospettive che a più d’uno fa venire la voglia di un prossimo, intempestivo pensionamento.

ANVUR, VQR e mediane (e il blocco degli stipendi, con l’abolizione in più degli scatti d’anzianità) non servono a rialzare il morale. Così come il continuo martellamento di scandali e scandaletti con cui stampa e governo si sono divertiti a screditare e delegittimare una istituzione, l’università, certo non priva di peccati, ma anche capace fino ad oggi di produrre cultura e senso forte. Ma cultura e senso non sono carta moneta ed oggi tutto pare dover essere traducibile in numeri, quote di budget, e denari. Questo è il quadro che ha da affrontare chi intende portare avanti un dottorato di ricerca come progetto di alta formazione e palestra d’istruzione superiore per una futura classe di docenti e di intellettuali capaci di dare buone cose e direzione a questo nostro oggi disastrato paese.
I dottorati – com’è noto – hanno dovuto passare l’“accreditamento” dell’ANVUR, e il nostro dottorato catanzarese di “Teoria del diritto e ordine giuridico ed economico europeo” ce l’ha fatta, insieme ai dottorati dei colleghi medici, forniti questi di ben altre attrezzature e dotazioni che l’unica fotocopiatrice di cui disponiamo noi e di qualche vecchio computer “d’epoca”, e senza uno spazio, uno studio, dove i dottorandi possano studiare e far ricerca in serenità e circondati dai loro libri e dalle loro carte. Ché solo di questo abbiamo bisogno di noi, di libri e carta e attrezzi per scrivere e riprodurre le cose scritte. Niente macchinari, niente laboratorio, solo tempo, un po’ di solitudine, concentrazione e pensiero riflessivo.
Ma ce l’abbiamo fatta. E ne siamo orgogliosi. E siamo orgogliosi dei nostri “ragazzi” (e “ragazze”) che producono tesi che sono stati non di rado, e saranno ancora, buoni libri, non articoletti o ricerchetta o la tabellina che dura lo spazio di un mattino, e subito ingiallisce. Dunque, come diceva Cosimo de’ Medici, “da noi si mura”; a condizione però che ci diano i mattoni, ché la calce, l’intelligenza e l’entusiasmo, ce li mettiamo noi. Gratuitamente. Con la stessa generosità dei nostri studenti, che ci seguono e ci chiedono del dottorato e dei suoi seminari, e vogliono seguirli, ancora prima di arrivare alla laurea. Ché per loro il dottorato è un campo d’eccellenza con cui confrontarsi, a cui aspirare, una sfida di crescita e di formazione della qual volentieri vorrebbero farsi carico.
Ed ora la rivista che qui si presenta. Un altro passo nella vertebrazione di un progetto di Bildung, Forschung, Lehre, per dirla sempre con Wilhelm von Humboldt; secondo un modello (tutt’altro che obsoleto: si veda la fiorente università germanica) d’una università che ancora noi ostinatamente perseguiamo. In questa ricerca, insegnamento, e formazione (non “professionale”, ma del carattere dell’essere umano come soggetto virtuoso). L’università non è una scuola professionale, anche se risulta essere poi la migliore di tutte le possibili vie per costruirsi una vera professionalità e per competere efficacemente con successo per realizzare le proprie ambizioni di una occupazione degna, gratificante (anche economicamente) e socialmente utile e riconosciuta come tale. E la rivista nostra, “Ordines”, vorrà e potrà dimostrarlo, pubblicando quanto di meglio colleghi e dottorandi quotidianamente producono in una ricerca che tra l’altro è oggi più vitale e necessaria che mai, quella sulle istituzioni europee, da una prospettiva filosofica, giuridica, storica, sociologica, economica, mischiando le carte delle differenti metodologie ed arricchendosi in questa prova di meticciato epistemologico.
L’Europa studiamo, all’Europa guardiamo, ad essa tendiamo, con questa interagiamo (tra l’altro inviando i nostri giovani a studiare all’estero presso prestigiosi centri di ricerca). E così vorremo anche pubblicare i papers che i nostri colleghi ed amici inglesi, francesi, tedeschi, spagnoli, ecc., studiosi tra i più noti e importanti nel loro campo, continueranno generosamente a presentare e discutere nei nostri seminari di dottorato, seguendo una consuetudine che è ormai più che decennale, e di cui fa prova la collana “L’Europa del diritto” (per i tipi delle E.S.I. di Napoli). Insomma, nonostante tutto ed a dispetto del poco incoraggiante e promettente “spirito del tempo” e delle scarse risorse che lo Stato ci destina, e dei lacci e lacciuoli con cui ad ogni passo ci fa inciampare, con Seneca fermamente crediamo e ripetiamo che: “Subsilire in caelum ex angulo licet”.
Il senso di questa nuova rivista è di creare un foro, attorno alla ricerca ed ai seminari del nostro Dottorato, dalla netta caratterizzazione inderdisciplinare ma tenuto insieme, tra teorici e storici del diritto, costituzionalisti, giuristi positivi, ed economisti, dalla comune vocazione a dar conto dei grandi cambiamenti in corso innanzitutto nel vecchio continente europeo. Il progetto di una comune casa europea, l’Unione Europea, sembra essere stato suggellato dall’introduzione della moneta comune, l’Euro. Questa però, in mancanza di un un ulteriore decisoo sviluppo federale, sembra piuttosto avere l’effetto di accentuare, piuttosto che attenuare e smussare e integrare, le differenze e le storie e i modelli economici ed istituzionali dei vari Stati membri. Ma la globalizzazione non perdona e non attende.
La forma Stato sembra non potere far fronte a tale proceso epocale di sconvolgimento delle regole della prdoduzione e dello scambio di economie ora sempre più interdipendenti. Allo Stato sembra contrapporsi il “grande spazio”, o addiritura l’Impero. Ma sono queste forme adatte e pronte a consentire ancora la salvaguardia di processi decisionali democratici e di strutture di solidaretà cittadina e sociale finora ingranate nei meccanismi dello Stato sociale?
Qual è il nostro destino di giuristi e di cittadini europei? Questa è la domanda a alla quale la nostra rivista vuole contibuire a trovare una risposta.

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