Login Contatti | RIVISTA SEMESTRALE - ISSN 2421-0730 - ANNO IX - NUMERO 2 - DICEMBRE 2023

PRESENTAZIONE

In Editoriale
13 Febbraio 2021

DI ANDREA PORCIELLO

Viviamo giorni bui, giorni in cui è l’incertezza a far da padrona. La situazione pandemica, che più volte gli esperti (se tali si possono ancora definire) avevano dato per conclusa, dispiega ancora massicciamente i suoi effetti a livello planetario. L’economia, innanzitutto quella italiana, che già versava in condizioni preoccupanti, dopo un anno di blocco sta flirtando pericolosamente con il baratro. I poveri aumentano, i precari sono sempre più precari, e moltissimi piccoli imprenditori, che fino all’anno scorso riuscivano a pagare debiti con le banche, tasse e personale, mettendo anche qualcosa in tasca, nel giro di un anno hanno dovuto chiudere i battenti, molto spesso mantenendo della vecchia vita soltanto i debiti. E intanto, la gente continua ad ammalarsi e a morire.

La politica, non solo quella nostrana beninteso, si trova davanti ad una scelta tragica, economia da un lato, salute dall’altro. L’idea, che molti demagoghi della politica continuano a descrivere come possibile, ossia quella di tutelare contemporaneamente entrambi i valori si è dimostrata del tutto impraticabile. Perché l’economia, quella reale intendo, ha bisogno di spostamenti e di contatti, è molto più simile al vecchio mercato rionale di quanto si possa credere, e di converso, la tutela della salute richiede precisamente il contrario, stasi e distanza. Tentare un compromesso fra le due opposte esigenze con tutta probabilità vorrebbe dire perdere su entrambi i fronti. Credo che ogni possibile ragionamento sull’incertezza di questi giorni, sulle strategie da adottare, debba partire da questa triste e amara consapevolezza. Comunque vadano le cose, qualunque scelta verrà operata dovremo sacrificare qualcosa d’importante. Ci troviamo in quella situazione che gli scacchisti definiscono attraverso la parola tedesca Zugzwang, mossa obbligata, nonostante ciò comporti il sacrificio di un pezzo. E quando il sacrificio, anziché statuine di legno, riguarda beni fondamentali come la vita, la salute o il lavoro, la relativa scelta diventa inequivocabilmente tragica. Questo presupposto non credo possa essere in alcun modo eluso, bypassato o, forse cosa ancora peggiore, minimizzato.

Eppure, anche il Covid 19 ha trovato i suoi negazionisti. Se non fosse foriero di conseguenze spesso assai negative, il negazionismo, quello dei fatti intendo, possiede spesso una componente comica. Permettetemi una breve divagazione. Durante il primo lockdown, due negazionisti della sfericità terrestre, i così detti terrapiattisti, hanno intrapreso un viaggio su di una barchetta per dimostrare che Pitagora, Platone e soprattutto Galileo in verità erano in errore: la terra non è tonda, e se si cammina in linea retta, prima o poi, si raggiungerà un confine, ci si imbatterà nelle colonne d’Ercole. Ebbene, i due sono stati ritrovati e tratti in salvo alla deriva nei pressi di Lampedusa. La cosa divertente, come testimoniato da uno dei medici soccorritori, e che avevano cercato (invano) di orientarsi usando una bussola, il cui presupposto di funzionamento è costituito proprio dalla sfericità della terra, ossia dall’esistenza di due poli. Vi ho raccontato questa storiella perché in realtà credo che i negazionisti, tutti i negazionisti dei fatti in verità, assomiglino molto ai due naufraghi oscurantisti appena descritti. Negare i fatti comporta a volte buffe, molte altre volte tragiche, contraddizioni.

Ebbene, i negazionisti della pandemia ritengono che la scelta poc’anzi descritta, la Zugzwang di questi giorni, non solo non sia affatto tragica, ma che addirittura, come nei migliori blockbuster hollywoodiani di fantascienza, sia solo un’invenzione, funzionale al rafforzamento del tristemente noto Stato di eccezione. La pandemia, a differenza di quanto tutti noi crediamo, poveri ed ingenui schiavi manipolati dal sistema, in realtà non esisterebbe, sarebbe solo campagna elettorale, o ancora peggio strumento politico/economico di coercizione di massa. E allora, se è così che stanno le cose, «perché i media e le autorità si adoperano per diffondere un clima di panico, provocando un vero e proprio stato di eccezione, con gravi limitazioni dei movimenti e una sospensione del normale funzionamento delle condizioni di vita e di lavoro in intere regioni?», si chiedeva tra gli altri Giorgio Agamben ad inizio pandemia. La risposta che lo stesso Agamben suggeriva lascia alquanto perplessi: «Si direbbe che esaurito il terrorismo come causa di provvedimenti d’eccezione, l’invenzione di un’epidemia possa offrire il pretesto ideale per ampliarli oltre ogni limite».

La risposta lascia perplessi innanzitutto per una ragione: se, ad esempio, il terrorismo che Bush fronteggiò attraverso i Patriot Acts e la normativa eccezionale che ne seguì fornì certamente un’occasione per colpire più duramente gli oppositori politici, al di fuori delle cautele e delle tutele tipiche del regime costituzionale, un’opportunità per rafforzare il Governo e la sua polizia; nel caso di questa pandemia non si capisce chi è che dovrebbe approfittare della situazione, chi è che dovrebbe battere cassa, e soprattutto chi sono i nemici che in tal modo potrebbero essere ridotti al silenzio. In ogni complotto che si rispetti ci sono i buoni e i cattivi, c’è chi vince e c’è chi soccombe, c’è chi guadagna e c’è chi perde. Una situazione in cui, con diverse gradazioni, tutti hanno da perdere qualcosa, in cui il sacrificio è inevitabile, non può essere frutto di un complotto, di un’invenzione.

Oltretutto, è assai singolare il fatto che quando i diritti fondamentali degli “altri” vengono calpestati senza motivo, calpestati sul serio intendo, molti intellettuali (e in questo caso non mi riferisco ad Agamben) restano a guardare o ancora peggio si girano sprezzanti dall’altra parte; e quando invece sono i “nostri” diritti ad essere lambiti, sfiorati, o anche momentaneamente compressi, per ragioni, però, più che comprensibili, gli stessi intellettuali gridano al complotto, all’assalto alla democrazia, se non addirittura al fascismo. Se quello che stiamo vivendo è un complotto a là Orwell, un gioco di potere finalizzato a depredarci dei nostri diritti fondamentali, non si sa bene da parte di chi e per quale finalità, cosa dire di molte delle condotte dell’Europa e degli Stati Uniti in politica estera, cosa dire del modo in cui queste superpotenze si relazionano con la parte più povera del pianeta. Solo per fare un esempio pensiamo al trattamento che noi europei riserviamo sistematicamente ai migranti, definiti dal “nostro” diritto standard ed al di fuori da qualunque eccezionalità come profughi, clandestini, indesiderati, irregolari etc.

Lo so, la “pagliuzza” nell’occhio di biblica memoria, soprattutto quando l’occhio è il “nostro”, può dare fastidio, nei casi più estremi può addirittura farci lacrimare, ma il senso di giustizia ci dovrebbe imporre di applicare la medesima scala per misurare i fenomeni che intanto ci accadono intorno. Spezzare il circolo virtuoso della giustizia, interrompere l’esercizio di immedesimazione e di universalizzazione che il discorso sulla giustizia ci impone, affermando ad esempio che “prima vengono gli italiani”, piuttosto che i tedeschi o i francesi, oppure che la pagliuzza che ci solletica gli occhi è comunque più importante, quantomeno per noi, rispetto alla trave che intanto trafigge gli occhi altrui, direi che, oltre che inopportuno, è illogico, ingiustificato, incoerente, perché viola i presupposti stessi di un discorso razionale.

Non credo sia un caso, benché ormai la questione non faccia più notizia e benché anche i più accaniti nazionalisti non ne parlino praticamente più (almeno per ora), che Massimo La Torre abbia voluto dedicare l’Editoriale di questo numero di Ordines ai migranti. È vero, la pandemia, che per inciso esiste, ci ha rinchiuso in casa, ci ha tolto i viaggi, i contatti, le cene, i cinema, ed anche la scuola e l’Università per i nostri figli. Ma per quanto fastidioso sia, si tratta pur sempre di una “pagliuzza” quando paragonata a ciò che intanto ci capita intorno. Ai più sfortunati tra noi, che certo oggi non sono in piazza per ottenere la riapertura delle scuole o per gridare al complotto, la pandemia ha strappato loro i cari, ha tolto il lavoro. E poi ci sono i dimenticati, quelli che pagherebbero per essere “rinchiusi” in una casa, al caldo, che pagherebbero per avere un lavoro “a distanza”, ad esempio i migranti oggi segregati nel campo di Lipa in Bosnia Erzegovina, con la chiara complicità dell’UE.

In questo primo numero del 2021 sono tanti gli argomenti trattati e gli approcci metodologici messi in campo.

Innanzitutto, spazio è stato dato alla situazione pandemica. A cominciare dal contributo dello studioso tedesco Thomas Gutmann che ci onoriamo di pubblicare, dal titolo Scelte tragiche. Criteri per il triage dei pazienti di Covid-19 bisognosi di terapia intensiva, questione ancora poco commentata, ma ricca di importanti spunti etico-giuridici, qui colti dal giurista di Münster con grande sensibilità giuridica e filosofica. Ancora alla pandemia, ma ad aspetti giuridici privatistici, è dedicato il saggio di Giuseppe Colacino Emergenza sanitaria da Covid-19, fra istanze di bigenitorialità e tutela del best interest of the child. E sempre di ambito bioetico e sanitario sono i contributi di Ivan Valia sulla maternità surrogata e di Valeria Ciconte sulla farmaco-vigilanza.

Pubblichiamo inoltre due saggi filosofico-giuridici dedicati alla cultura tedesca, il primo di Ulderico Pomarici su Johann Wolfgang Goethe dal titolo Il Faust di Goethe: la vita come infinito intrattenimento ed il secondo di Sara Lagi su Hermann Heller intitolato Un bene purché…Hermann Heller e il pluralismo.

Vari i contributi dedicati a questioni strettamente giuridiche. Di stampo civilista quelli di Marcello Mazzuca sugli usi civici, di Marco Infusino sulla forma negoziale e di Pietro Nastasi sulla responsabilità da danno tanatologico. Di orientamento penalista e processual-penalista i contributi di Marco Grande sulle indagini sotto copertura e di Simone Rizzuto sulla responsabilità penale in ambito sanitario.

Infine, sulla questione della tutela dei migranti climatici il contributo di Daniele Corasaniti e sull’anarchismo quello di Andrea Caputo.

Il numero è, infine, arricchito dalla presenza di due Forum monografici: il primo curato da Thomas Casadei e Alessio Lo Giudice dedicato al recente referendum sulla riduzione del numero dei parlamentari, al quale hanno partecipato Lucia Corso, Filippo Pizzolato, Alessandro Morelli, Rosaria Pirosa, Silvia Salardi e Luigi Mariano Guzzo; ed un altro, curato da Francisco Mora Sifuentes, dedicato all’ultimo libro di Massimo La Torre Il diritto contro se stesso, al quale hanno preso parte i colleghi Amalia Amaya, Leticia Bonifaz, Jorge Cerdio, Massimo La Torre e Francisco M. Mora-Sifuentes.

Il presente numero di Ordines è dedicato ad un caro amico che purtroppo da qualche giorno non c’è più, Pasquale Caracciolo. Per tutta la comunità del nostro Dipartimento, per tutte le persone che a vario titolo orbitano intorno al nostro dottorato di ricerca e alla nostra rivista, Pasquale rappresentava un punto di riferimento. Non era semplicemente un impiegato con cui risolvere questioni burocratiche: con il suo garbo e la sua gentilezza, mai ostentata, era entrato nei nostri cuori, raggiungendo in punta di piedi un posto tutto suo. Ci mancherà terribilmente.

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