Login Contatti | RIVISTA SEMESTRALE - ISSN 2421-0730 - ANNO IX - NUMERO 2 - DICEMBRE 2023

PRESENTAZIONE

In Editoriale
2 Agosto 2021

DI ANDREA PORCIELLO

È ormai da qualche anno che ho l’onore di scrivere le presentazioni dei nuovi numeri di Ordines, la presentazione che mi accingo a scrivere, però, è per me diversa dalle altre, ha un significato del tutto speciale. Si, perché Ordines nel frattempo è “cresciuta”, ha ottenuto un riconoscimento importante e, almeno in parte, insperato, la tanto agognata Fascia A nell’Area 12, Scienze giuridiche. Importante perché, benché l’accettazione ed il riconoscimento non siano tutto, di certo rappresentano un aspetto importante del lavoro accademico. In effetti, non esiste autore, a prescindere da quale sia il suo campo d’interesse, che non desideri essere riconosciuto (e se è possibile apprezzato) quantomeno dalla comunità degli studiosi che si occupano di problemi e di tematiche simili. Non è una questione di vanità, o forse lo è soltanto un po’, è piuttosto una questione di “sentirsi parte” di qualcosa, di poter condividere una passione con persone che parlano la stessa lingua, in fin dei conti è una questione di “non sentirsi soli”. Perché, di converso, l’isolamento, la lontananza, benché quando coltivate per brevi periodi possono favorire la ricerca e la concentrazione che essa richiede, quando divengono distacco definitivo dalla comunità spesso producono frustrazioni, anche e soprattutto scientifiche.

Ebbene, è proprio questo lo spirito con cui abbiamo appreso la notizia del conseguimento della Fascia A: non si tratta di un trofeo da esporre in bellavista, ma del segnale che attraverso il lavoro fatto in questi anni siamo riusciti ad offrire un contributo alla nostra comunità di riferimento e che questa comunità riconosce adesso Ordines come un luogo in cui poter dialogare ad alto livello di diritto. Le riviste scientifiche, in fondo, si realizzano per gli altri, non per sé stessi, perché servono, oltre che a contribuire al dibattito, proprio a far questo, ad unire, a coinvolgere, a favorire lo scambio delle idee e delle relazioni, a creare “appartenenze”. E Ordines, e tutto il lavoro che essa ha richiesto in questi anni, credo concretizzi tali ambizioni, o almeno questa è la mia speranza.

Un risultato che è poi anche insperato visto che la rivista voluta e pensata da Massimo La Torre, come lui stesso ama spesso dire, consiste in un’impresa che è “artigianale”, “fatta in casa”, che si è nutrita e che continua a nutrirsi delle energie di un gruppo di giovani e generosi collaboratori che in modo disinteressato hanno messo a disposizione le loro abilità ed il loro lavoro con l’unico obiettivo, numero dopo numero, di rendere Ordines un prodotto, per quanto è possibile, sempre migliore. E a quanto pare, in un momento in cui tutto sembra essere burocratizzato, industrializzato, fatto in serie, questo approccio “artigianale e casalingo” sembra aver pagato, da iniziale necessità è divenuto virtù, cifra stilistica, consentendo fra l’altro una libertà ed una flessibilità altrimenti impensabili. In questo senso, mi piace pensare che Ordines in fondo non ha “padroni”, è semplicemente ciò che vuole essere, ossia una rivista che trova nella filosofia del diritto il proprio nucleo tematico fondamentale, ma che è pronta ad accogliere volentieri contributi aventi ad oggetto il diritto positivo, l’economia, la sociologia purché siano scritti in modo intelligente e adottino un angolo visuale attento a ciò che intanto avviene in Europa e nel mondo.

Benché abbiamo pensato e costruito la rivista in modo artigianale, oltre che in “provincia”, fin dall’inizio abbiamo cercato di rifuggire i localismi, abbiamo tentato di pensare in grande sia per ciò che concerne la sua organizzazione, sia per quanto riguarda i suoi contenuti. Il modello adottato ha certamente risentito dell’influenza del nostro dottorato di ricerca, anch’esso fatto in casa e con risorse esigue, ma che negli anni ha ospitato teorici del diritto, giuristi ed economisti di fama mondiale. Non è un caso, dunque, che la rivista, benché ancora giovane, preveda oggi un prestigioso comitato scientifico internazionale ed un nutrito comitato editoriale, giovane e dinamico, rappresentativo di tante importanti università italiane. E quanto ai contenuti, siamo lieti di constatare che sempre più spesso giungono in redazione proposte di pubblicazione anche dall’estero, soprattutto in inglese ed in spagnolo. La mia personale speranza è che Ordines continui ad essere ciò che è stata fino ad ora, che possa mantenere la sua artigianalità nell’organizzazione, la sua libertà nei suoi contenuti e che sempre di più possa dare voce e spazio agli studiosi più giovani, italiani e stranieri, nei quali riponiamo massima fiducia.

Se tutto ciò suonasse eccessivamente autocelebrativo, pregherei il lettore di cogliere in queste poche parole ciò che esse realmente vogliono manifestare, ossia la sincera felicità nel vedere una “nostra” creatura muovere i primi passi nel mondo accademico e addirittura riscuotere i primi, e speriamo non ultimi, consensi.

Il numero che qui mi accingo a presentare è assai ricco e vario.

L’apertura è affidata come di consueto a Massimo La Torre e al suo Editoriale, questa volta dedicato ad alcune importanti conseguenze della pandemia e della sua gestione, in primis ai vari schermi (mascherine e monitor) dietro i quali siamo costretti oggi a “nasconderci” e ai lavori inutili, i bullshit jobs di cui parla Graeber, che, negli interstizi di questa esistenza immunizzata, anonima e burocratizzata, si stanno diffondendo ogni giorno di più con grande rapidità.

I primi tre saggi sono dedicati alla democrazia e ad alcune delle sfide che essa è chiamata a sostenere nel mondo politico contemporaneo. In particolare, William E. Scheuerman, in Constitutional Democracy and the Imperial Presidency in the United States, prende in considerazione la democrazia statunitense ed alcuni suoi atavici e congeniti problemi strutturali, tali da farla apparire agli occhi dell’autore, non come un modello democratico da seguire, ma come una democrazia limitata, una quasi democrazia. Daniel Innerarity, nel saggio La sfida democratica della pandemia esplora, invece, le limitazioni, questa volta contingenti, poste alla democrazia contemporanea in tempo di emergenza pandemica, quella che l’autore definisce “pandemocrazia”. E Francisco Javier Ansuategui-Roig, nel contributo Democrazia e post-verità, si concentra sul rapporto tra verità e democrazia ed in modo particolare sul tipo di verità cui una democrazia contemporanea può realisticamente aspirare.

Nel solco di questi saggi, Salvatore Berlingò, nel suo contributo dal titolo Laicità «pos-moderna» nella nuova Europa: un itinerario performativo dell’amicizia (euro)mediterranea?, ci parla di uno dei fondamentali presupposti di qualunque assetto politico che possa essere definito come democratico, il presupposto dell’amicizia, declinata innanzitutto nei termini di ospitalità e di apertura alle differenze.

Nel saggio di Valeria Ciconte Emergenza Covid-19: stato dell’arte sulle sperimentazioni e sull’obbligo di vaccinazione si affrontano alcuni importanti problemi legati alla situazione pandemica, in particolare relativamente ai vaccini e alla prospettiva della loro obbligatorietà.

Di seguito abbiamo collocato quattro saggi di area civilistica e processual civilistica: Elisabetta Errigo si è occupata di tutela della privacy nei rapporti di diritto sportivo, Luciana La Banca di autonomia privata e atipicità delle sanzioni civili, Alessandro Manfredi di privacy e trattamento dei dati personali e Maria Laura Guarnieri della nozione di titolo esecutivo europeo.

In questo numero, peraltro per la prima volta, ho proposto un mio contributo relativo alla questione ambientale, il suo titolo è, L’idea di valore intrinseco della natura: una giustificazione metaetica. E ancora di ambiente, in modo particolare di agricoltura sostenibile, si occupa Maria Carlotta Rizzuto nel contributo L’impresa agricola tra tradizione e innovazione.

La sezione “Saggi” si chiude con i contributi di Lorenzo Sinisi sulla disciplina canonica del fenomeno confraternale, di Aquila Villella sui poteri del proprietario e di Attilio Novellino sulla devianza sociale.

Nella sezione “Discussione” troviamo i lavori di Annachiara Carcano e Francesco Mancuso, che hanno commentato il recente testo di Massimo Panebianco Lo Stato post-globale. Ascesa e resistenza dello Stato globale Covid-free, di Charlie Barnao sulla relazione (pericolosa) tra nazismo e scienza manageriale, di Luigi Mariano Guzzo sull’amministrazione dei beni degli enti ecclesiastici, ed infine, quello di Villacañas Berlanga sull’ultimo libro di Massimo La Torre dal titolo Il diritto contro se stesso.

Nella sezione “Cronache” Jacopo Volpi ha scritto in merito al seminario di dottorato che si è svolto a Catanzaro il 17 maggio 2021 sul tema «Italian Life. Un romanzo sull’Italia del presente (e la sua università)», con l’autore Tim Parks.

A conclusione del numero, come di consueto, consistente spazio è poi dedicato alle recensioni. In particolare, Vincenzo Omaggio ha offerto la sua lettura del libro di Massimo La Torre Il diritto contro se stesso, Emanuele Guarna ha recensito il libro di Giovanni Maria Caruso Il socio pubblico, Chiara Pizi ha commentato il testo di F. Ekardt, Sustainability. Transformation, Governance, Ethics, Mariella Robertazzi si è occupata del lavoro di Umberto Curi dal titolo Il colore dell’inferno, Ivan Valia ha commentato il volume curato da Leonardo Di Carlo Bilanciamento e sistema delle fonti ed infine Michele Zezza ha recensito il libro di Fernando H. Llano Alonso, Homo excelsior. Los límites ético-jurídicos del transhumanismo.

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