Login Contatti | RIVISTA SEMESTRALE - ISSN 2421-0730 - ANNO IX - NUMERO 2 - DICEMBRE 2023

Presentazione di Alessandro Morelli e Andrea Porciello

In Editoriale
5 Agosto 2016

Le prospettive del processo d’integrazione sovranazionale appaiono, in questo momento, quanto mai incerte: il susseguirsi degli attentati terroristici di matrice islamista (o ispirati a quel modello di terrore) mettono sempre più in discussione le basi di legittimazione delle democrazie europee, mentre il referendum del Regno Unito sulla Brexit dello scorso 23 giugno segna un punto d’arresto epocale, che potrebbe produrre un pericoloso “effetto domino”, spingendo altri Stati membri dell’Unione ad abbandonare del tutto l’idea di un’Europa unita politicamente ed economicamente. Ed in Turchia, uno dei paesi candidati ad entrare in Europa, un governo che non brilla certo per ispirazione democratica continua a reprimere un tentativo di colpo di stato con strumenti che rievocano le pagine più nere della nostra storia. Lo scenario che viene così a profilarsi fa paura, ed a diversi livelli: hanno paura i cittadini europei, coscienti di essere un bersaglio troppo facile per chiunque voglia colpire uno “stile di vita”, un “modello culturale”; hanno paura i mercati, resi incerti da politiche nazionali che quasi sempre mirano a guadagni di breve termine, senza la benché minima presenza di un’idea di progetto economico e sociale; ed hanno paura i migranti, paura di una popolazione europea sempre meno disponibile all’accoglienza e sempre più pronta a chiudere frontiere e ad erigere muri (anche l’esito del referendum inglese, d’altronde, almeno in parte può essere spiegato come un rigurgito nazionalista). Se c’è una parola che appare adatta a fotografare l’Europa dei nostri giorni, quella dei cittadini e quella istituzionale della politica e dei mercati, questa è proprio “paura”.
Come sottolinea efficacemente Massimo La Torre nel suo Editoriale, il dilagare di nuovi (ma in realtà antichi) nazionalismi rischia seriamente di evocare spettri che sembravano essere stati ormai definitivamente consegnati alle pagine dei libri di storia, spettri che fanno tremare le vene e i polsi.
In tale contesto, il peso delle responsabilità gravanti sullo scienziato sociale sembra aumentare, così come le difficoltà di maneggiare categorie concettuali che appaiono sempre più inadeguate a spiegare le attuali vicende politiche ed economiche. Come sempre avviene nei momenti di “passaggio”, nelle epoche di trasformazioni che proiettano verso l’ignoto, lo studioso è chiamato a far leva sulle proprie conoscenze e sulla propria capacità d’immaginazione, nel tentativo di prevedere quello che potremmo aspettarci nel prossimo futuro.
I contributi pubblicati in questo numero di Ordines riflettono in gran parte la complessità dell’attuale fase storica. Si denuncia, ad esempio, la debolezza ormai cronica del diritto prodotto dalla Comunità internazionale (Bilotti); si esamina il problematico rapporto tra i diritti umani e la tradizione islamica (Guzzo); si prova ad immaginare il possibile impatto della Brexit sulle istituzioni dell’Unione europea, sia dal punto di vista giuridico (Menendez) che da quello economico (Daniele).
Non mancano, inoltre, le ricostruzioni di diritto positivo (Saitta), le analisi di importanti novità normative (Mazzuca) e di casi giurisprudenziali (Pupo) e le riflessioni di carattere giusfilosofico sulle teorie dell’interpretazione costituzionale (Valia). Diverse anche le recensioni riguardanti testi di sicuro interesse per le tematiche oggetto di approfondimento della Rivista.
Ancora una volta emerge il carattere interdisciplinare degli studi pubblicati, un metodo oggi più che mai necessario per tentare di spiegare fenomeni sempre più difficili da indagare poiché coinvolgenti piani diversi e interconnessi di una realtà in continua e inarrestabile trasformazione.

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